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GLASGOW (SCOZIA) – L’ipercolesterolemia familiare (FH) è una malattia tanto curabile quanto difficile da individuare. Ma i dati emersi nel corso dell’83esimo Congresso della European Atherosclerosis Society, che si è svolto a Glasgow dal 22 al 25 marzo, mostrano un quadro ancora più preoccupante del previsto. Solo per 22 nazioni è stato possibile fare una stima dei pazienti diagnosticati, sulla base di una frequenza di 1/500 nella popolazione generale: nei circa 180 Paesi rimanenti, infatti, non esistono registri validi a livello nazionale e non sono dunque disponibili informazioni affidabili sul numero di individui con diagnosi di ipercolesterolemia familiare.
LONDRA (REGNO UNITO) – L’ipercolesterolemia familiare, il fumo e il diabete sono tre fattori strettamente legati all’insorgere di un infarto miocardico acuto. Tre ricercatori della Queen Mary University hanno istituito in un ospedale di Londra un servizio clinico pilota per la diagnosi dell’ipercolesterolemia familiare nei pazienti giovani (meno di 50 anni) con infarto del miocardio: lo studio è stato pubblicato sulla rivista European Journal of Internal Medicine.
BALTIMORA (U.S.A.) – L’ipercolesterolemia familiare, malattia caratterizzata da livelli di colesterolo delle lipoproteine a bassa densità congenitamente elevati, secondo le stime interessa 20 milioni di persone in tutto il mondo. Nei pazienti con tipologia eterozigote, la coronaropatia si manifesta in circa metà degli uomini entro i 50 anni e in un terzo delle donne entro i 60 anni, mentre i pazienti omozigoti spesso soffrono di eventi coronarici già dalla prima o seconda decade di vita.
ROMA – Parlando di infarto, cardiopatia coronarica e malattia valvolare aortica, in automatico pensiamo a pazienti sopra i 50 anni, ipertesi, sovrappeso. Purtroppo però questa sintomatologia può colpire drammaticamente anche bambini e giovani adulti: in questo caso può trattarsi di una patologia rara e gravemente disabilitante, una dislipidemia geneticamente determinata. “Si tratta di un gruppo eterogeneo di patologie genetiche del metabolismo lipidico – spiega la Prof.ssa Claudia Stefanutti, Responsabile dell’U.O. Tecniche Terapeutiche Extracorporee - Centro per lo Studio, Diagnosi e Terapia delle Dislipidemie e Prevenzione della Aterosclerosi - Dipartimento di Medicina Molecolare “Sapienza” Università degli Studi di Roma – in cui l’alterazione di lipidi e lipoproteine è tale da comportare un rischio cardiovascolare da alto a elevatissimo”.
MILANO – La lipoproteina (a) è un fattore di rischio genetico, causale e indipendente per le malattie cardiovascolari e la stenosi aortica. Le attuali terapie farmacologiche ipolipemizzanti non diminuiscono in maniera ottimale il livello della lipoproteina (a), in particolare nei pazienti con ipercolesterolemia familiare. Uno studio pubblicato sulla rivista Arteriosclerosis, Thrombosis and Vascular Biology dimostra che il farmaco mipomersen ha ridotto in modo consistente i livelli di lipoproteina (a) nei pazienti con una varietà di alterazioni lipidiche e rischio cardiovascolare, anche se il meccanismo di riduzione della proteina è ancora sconosciuto.
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